NICOLA MELE
Un imprenditore dinontorganico

“La persona è fondamentale: la persona è una cellula viva e libera che può scegliere quale sapienza servire”


Una caratteristica portante della figura di Nicola Mele, imprenditore barese, è il senso del fare e del far bene, una predisposizione che attraversa, legandole, la proficua carriera scolastica a quella professionale. Assunto nella patria del grande innovatore Olivetti, Nicola si muove tra il centro di ricerche di Bari e quello di Ivrea. Lanciato ormai verso una promettente carriera, con prospettiva di accesso a ruoli dirigenziali, viene colto e assalito, come ammette lui stesso, dal senso di monotonia, come se la sua vita fosse predefinita, scontata (“le finestre aperte alle 7 e chiuse alle 7, il venerdì a sciare”) e decide così di cedere non solo al richiamo della terra di origine, la Puglia, ma anche a quello di cambiare lavoro. Del periodo olivettiano ‘porta a casa’ la cultura che si respirava in azienda, concepita come luogo per stare bene e per fare del bene, dove coltivare opportunità professionali ma anche personali. E’ così che un nuovo inizio succede, perché come sostiene Nicola, il caso gioca il 99% della partita ma quel restante 1% è tutto in carico alla persona che, coltivando le passioni e i desideri, arriva a realizzare i suoi sogni: e così, facendo tesoro delle competenze acquisite nell’avanzato centro di ricerca della Olivetti, nel 1984 insieme ad altri due giovani crea una startup, la OA sistemi, che si occupa di office automation con una attenzione particolare “a risolvere i problemi dei clienti”. Nel 2000 la vende ad un gruppo multinazionale e crea una nuova società, la Bit Sistemi, che segue la volontà di fare impresa con giovani del territorio. Negli anni successivi, in base ad una specifica strategia, dà vita ad altre 25 società affidandone l’amministrazione a valenti e talentuosi giovani del sud. Nel 2001, infatti, pensa e realizza Gamina srl, una società famigliare che ha come core business e vocazione la partecipazione societaria e il sostegno in imprese, in particolare start-up che nascono da idee e iniziative di giovani pugliesi. Nel 2012, invece, co-fonda Evolware, software house specializzata nella realizzazione di App mobile e software personalizzati. Non tutto è però scaturito da una volontà deliberata, prima di tutto perché secondo Nicola imprenditore non si nasce ma si diventa, e meglio se da giovani; in secondo luogo perché il fatto di trovarsi costantemente su un territorio di frontiera richiede una grande dose di improvvisazione. Non è affatto qualcosa di semplice e di naturale, perché fare una impresa “è davvero un’impresa”, soprattutto quando, come per Nicola, non si possiede un solido background ma si parte letteralmente da zero. Mele si definisce un imprenditore atipico. L’atipicità si colloca nell’anima culturale, nella base filosofica che ispira il suo fare impresa, ovvero in quello che il mio intervistato definisce ironicamente il catto-comunismo di un giovane diciottenne che ha vissuto il fervore culturale del ’68 attraverso il filtro del cattolicesimo. Tale esperienza, respirata dapprima come dipendente in Olivetti e poi da giovane imprenditore, lo ha reso attento ai processi di innovazione culturale e sensibile al tema del dinamismo, instillando al tempo stesso il gusto e la passione verso le sfide e il cambiamento: per essere atipici, puntualizza Nicola, “serve sicuramente il desiderio di migliorare continuamente”. La sfida diventa allora, per l’imprenditore in erba, in primo luogo quella di trovare un equilibrio tra vita e benessere dell’azienda da una parte e il dover prendere delle decisioni anche difficili come può esserlo il licenziamento di una persona, dall’altra. La soluzione si colloca nel modo in cui il licenziamento stesso è concepito: la persona non viene liquidata ma accompagnata in altri contesti più consoni alle aspettative e alle capacità della stessa, perché lo scopo dell’imprenditore è quello di aiutare una persona a realizzare i propri sogni. Il tipo di realtà alla quale pensa Nicola Mele è una realtà dinontorganica, espressione di una riflessione filosofico-culturale tesa a superare il monopolio del discorso e della prassi consumistica e capitalistica. E’ stato il salesiano Don Nicola Palmisano, ammette Mele, a mostrare all’imprenditore un varco capace di aprire una strada alternativa tra liberismo e comunismo.



Collaboratori dinontorganici

Il gruppo Happy Network

L’ingresso nel comitato etico di Banca Etica, inoltre, si inscrive nel solco di quella cultura mediana tra attenzione al sociale e cultura cattolica, tra interessi della persona e interessi collettivi. L’azienda, nella visione di Mele, è costitutivamente legata al territorio all’interno del quale si snoda in un processo di nascita, consolidamento, proliferazione e accompagnamento all’autonomia di altre società. I giovani, afferma Mele, sono responsabilizzati e assumono il progetto come proprio, perché è esattamente questa la funzione di Nicola, essere una figura di riferimento, un consulente al servizio del talento delle promesse locali. Due le fasi aziendali che permettono uno sviluppo armonico e sostenibile: creatività e propositività. Il momento ontico da una parte e verifica e controllo, la parte salvifica, dall’altra. Come a dire le energie necessarie a partire e quelle necessarie a mantenere e difendere quanto costruito. All’interno di una visione dinontorganica, però, il controllo non è inteso in senso gerarchico e piramidale bensì incentrato sulla motivazione, sul concetto di ‘Noi inclusivo’ e sull’auto-attivazione, che diventano parte costitutiva della cultura del luogo di lavoro. E’ questa concatenazione che permette di ridefinire sia la competizione, attraverso termini quali collaborazione, attenzione e ascolto sia la missione dell’azienda che si pone al servizio del cliente piuttosto che contro di esso in un’ottica di mors tua vita mea, in quanto entrambi collocati e immersi in un sistema unitario. Prende così forma una logica di reti di impresa diversificate, che non si focalizzano soltanto sull’informatica ma spaziano dalla consulenza alle energie rinnovabili. Nicola Mele, a questo riguardo, è il ‘padre fondatore’ del movimento delle imprese che oggi costituiscono la rete Happy Network di Gioia del Colle. 

Nato nel 2014, Happy Network si pone come obiettivo quello di unire sinergie, progetti e occasioni di crescita e sviluppo di aziende diverse tra loro, accomunate dalla voglia di intraprendere una diversa strada di potenziamento imprenditoriale. Queste aziende hanno cioè chiaro che il loro scopo non è il profitto in sé e a tutti i costi: il capitale, in altre parole, non è prevalente rispetto al lavoro. Dinontorganica, spiega Nicola, è l’azienda che sa usare i verbi correttamente, ovvero scegliendo quelli che possono dare un contributo al processo creativo: posso/voglio fidarmi, posso/voglio appartenere, posso/voglio ascoltare, posso/voglio collaborare, posso/voglio integrare, posso/voglio sincronizzare, posso/voglio sintonizzare, posso/voglio mischiare, posso/voglio rischiare. Entro tale grammatica, i desideri si trasformano in fini che attivano e attirano i sogni. L’azienda è un organismo che vive di vita propria, è essere che si fa dinamico nel tempo e nello spazio realizzando un processo che porta a generare un servizio al cliente. L’azienda nasce, vive, produce nuove aziende e muore, in un ciclo di costante trasformazione. Generatività diventa allora una parola chiave accanto a cura, attenzione al territorio e al sociale. Il fine è quello di svolgere bene il proprio lavoro entro una logica di ‘vita tua vita mea’, logica purtroppo molto distante da quella vissuta all’interno delle multinazionali. La vita dell’azienda, continua Mele, è sì caratterizzata dalla presenza di regole generali, ma la funzione di controllo risulta subordinata rispetto alla sostanza e deve coesistere con un alto grado di libertà, con la possibilità di esprimersi essendo riconosciuti per gli sforzi che ciascun individuo compie. In tale ottica, la competizione serve solo per migliorare, la formazione è la risorsa fondamentale per la crescita e l’attenzione è posta sull’auto-attivazione, perché “se una persona si sente parte del contesto, questo è un arricchimento per tutt*”. A sottolineare la fiducia riposta nell’altr*, le chiavi dell’azienda, ammette Nicola, le hanno tutt*. In generale c’è molta cura e attenzione verso le persone: “io non ti sfrutto, io ti coinvolgo. Io cerco di tirare fuori il meglio dagli altri”. E questa cultura viene continuamente esplicitata così da diventare patrimonio comune nelle interazioni quotidiane. L’idea è che ognuno sappia che all’interno dell’azienda può diventare a sua volta un imprenditore. Mele, a questo proposito, porta l’esempio di un cosiddetto clandestino arrivato dalla Guinea, musulmano, molto bravo in informatica, che è stato accolto nell’impresa di Nicola dove ha lavorato per ben 10 anni, diventando uno specialista Microsoft: “questa persona, diventato un imprenditore dinontorganico, sta fondando una società in Guinea. Faremo quindi questa esperienza là”.

Cherif e la Scuola in Africa

Nonno Nicola

Il libro ‘La famiglia e l’impresa’

Quando chiedo a Nicola quali siano le maggiori soddisfazioni della sua vita mi risponde senza alcuna titubanza i quattro nipoti, la capacità cioè di tenere insieme una famiglia salda i cui membri sanno che si devono dare da fare per offrire un contributo attivo. 


Un’altra grande soddisfazione è quella di essere riuscito a fare impresa con i giovani del territorio. Ulteriore motivo di orgoglio il fatto di non aver investito l’ingente somma ricavata dalla vendita di una società ad una multinazionale nell’acquisto di una barca a vela, “perché questo non è gratificante per me”, ma nel fare impresa in modo diverso, nuovo. A partire da gennaio, infatti, Nicola costruirà altre 4 società. La cosa più interessante da notare a questo proposito, è che l’indice di generatività delle società sostenute è molto alto. La sfida che Nicola vorrebbe affrontare adesso è quella di individuare gli indici per misurare la dinontorganicità, che si basa su equità, generatività, conduzione, partecipazione e stabilità. Se nasce un figlio, ad esempio, l’azienda rivolge particolari attenzioni anche, ma non solo, in termini di flessibilità legata alla maternità. Questi gesti fanno sì che la persona riconosca di essere una parte importante dell’azienda. Si tratta inoltre di un elemento che ha a che vedere con lo stile di leadership, uno stile molto diverso da quello preponderante all’interno delle multinazionali: “qui non si schiavizza, qui si responsabilizza, affinché tutti si sentano necessari. E’ fondamentale, per attuare il cambiamento, ascoltare sia i segnali verbali che quelli non verbali anche attraverso momenti di confronto altruistico, non egoico. Se in un’azienda non si pratica l’ascolto, numerosi saranno i danni. Io sono il leader storico, ma sono qui al loro servizio, non sono la vedetta; non ho una stanza, ci sono 3 sale riunione e alcune sale collettive. E per questo io non mi sento depauperato. La formazione si fa generalmente momento per momento, comunicando costantemente, ed è bidirezionale. Non ci sono funzioni, solo ruoli di responsabilità, e non ci sono molti livelli gerarchici. I ruoli sono operativi. Esiste sì un orario di lavoro, ma è flessibile. Non ci interessa se gli orari vengano rispettati o meno, basta che questo non impatti gli altri perché il gruppo va vissuto nel rispetto di tutt*. Come imprenditore devo chiedermi, dobbiamo chiederci: le persone stanno bene in azienda? Di solito lo dicono ai collaboratori, allora si deve capire, rendersi conto. Per me ciò che è importante è aiutare una persona a realizzare i propri sogni”. E così l’imprenditore diventa colui/colei che è in grado di comporre mirabili puzzle, conoscendo l’arte di incastrare opportunamente e in modo dinamico professionalità, luoghi e strumenti. Un elemento che mi ha colpita, nelle parole di Nicola Mele, è la sostituzione del termine dipendente, con quello di collaboratore: “perché non esiste la dipendenza, bensì la collaborazione; potremo anche dire che tutti dipendiamo reciprocamente. Il lavoro altro non è se non la capacità di pensare e collaborare con gli altri, è uno sport di squadra. Purtroppo, però, ancora troppo spesso essere imprenditore si lega alla volontà di imporre un comportamento, non per il bene dell’azienda, ma per questioni caratteriali, egoistiche, di narcisismo del potere”. Inoltre, secondo Mele, il maggiore limite del fare impresa è guardare al profitto in modo totalizzante. Tale priorità, secondo lui, metterebbe nelle condizioni di seguire processi per i quali la vita imprenditoriale perde di creatività. Senza contare che nella competizione sfrenata si finisce per soccombere. Laddove tutto è subordinato alla finanza, spiega Nicola, si dimentica l’abilità delle persone, la collaborazione, il desiderio di fare. Il potere, in questo caso, non è di chi ha le idee, ma di chi possiede i capitali, e ciò non può che viziare il modo in cui si fa impresa. Quella dinontorganica, al contrario, fa della creatività posta al servizio dei bisogni reali, la spinta propulsiva. I valori di un’impresa dinontorganica non sono però separati dal vivere quotidiano: i due piani risultano infatti inscindibili. E il ruolo che Nicola Mele ricopre come presidente dell’associazione ‘Nuova Costruttività. Vita Tua, Vita Mea’, sta proprio a sottolineare la contiguità delle due sfere. Nuova Costruttività, in particolare, desidera scoprire e promuovere il vero bene della società e lo fa basandosi sulla natura profonda della realtà storica in cui viviamo che è dinamica, ontologica, organica: ciò significa che la Realtà Storica, costruita dal libero agire degli uomini è dinamica e cioè sempre in costruzione e che tale costruzione tende a realizzare la propria unità, verità, bontà e bellezza in modo organico, perciò a vantaggio di tutti gli uomini e in armonia con il creato. Mentre il modello economico dominante mostra sempre più crepe e lascia emergere bisogni nuovi che hanno al centro il noi piuttosto che l’io, ciò che risulta più urgente, nella visione del dinontorganico Nicola Mele, è un sano ritorno alla filosofia per individuare una matrice culturale diversa. In particolare, il modello olivettiano, che si basa sullo stretto legame tra impresa e territorio, deve riaffermare la sacrosanta verità per cui l’azienda è per l’uomo e non viceversa. La cosa più auspicabile, ne è convinto Mele, è che l’azienda torni a interrogarsi sulle motivazioni, sulle radici profonde del lavorare e dell’abitare i luoghi del lavoro. Questo risulta il presupposto per qualsiasi cambiamento che riconosca la persona come reale protagonista del contesto nel quale è immersa, incluso quello lavorativo, e che sia in grado di offrire una alternativa reale alle distorsioni legate al modello economico-sociale oggi dominante.


Alessia Belli